ALCUNI RICORDI DI SERGIO : MAMMA, PAPA’ E LE PUTELE

Papa’ era nato nel dicembre 1892 a Kischenev. Non si sa esattamente in che data sia nato, perche’ allora il calendario in Russia era diverso, ma il suo compleanno e’ stato sempre festeggiato l’1 dicembre. E’ morto il 29 giugno 1964
Era l’ultimo di 18 figli, assieme ad una gemella che credo sia morta molto giovane.
Mio nonno, Chaim Zev, doveva essere piuttosto benestante. Papa’diceva che aveva un banco del lotto o qualche cosa di simile.
Raccontava che loro, i figli con annessi e connessi, non mangiavano mai con i loro genitori; la nonna Miriam Ronja ed il nonno cenavano “ di notte” mentre i figli gia’ dormivano.
Tutta la famiglia viveva in una grande casa, con in mezzo un grande cortile. Immagino che i figli sposati vivessero assieme alle loro mogli ed ai loro figli in appartamenti attorno al cortile. Papa’ diceva sempre che essendo il piu’ piccolo era il coccolo del nonno che, al Seder, lo voleva sempre seduto accanto a lui e che, ogni tanto in segno di affetto, gli mostrava il mignolo, cosa che lo faceva molto ridere.
Papa’ andava al “Cheder” ed a quanto mi risulta quella e’ stata l’unica scuola regolare che abbia frequentato. Aveva un ‘Melamed ‘ che gli insegnava a leggere e la storia che ricordo e’ che mangiavano anguria al cheder. L’anguria piaceva molto a papa’, come piace a me, e quello che raccontava e’ che il maestro prendeva per se una fetta di anguria quasi circolare, prendendo anche il cuore, che e’ la parte piu’ dolce. Quella parte era conosciuta a casa mia come « la fetta del maestro ».
Papa’ raccontava che a casa avevano in cantina grandi botti con dentro cetrioli in salamoia.
Naturalmente era una casa religiosa e gli altri figli, piu’ grandi, usavano portare al mio nonno i grandi libri dei commenti biblici, la Gemara’, il Talmud e simili. Papa’ diceva che erano cosi’ grandi che erano in due a doverli portare. Ma forse era lui che era molto piccolo! Naturalmente aveva dei fratelli che erano molto piu’ vecchi di lui e nipoti della sua eta’ se non piu’ vecchi.
Papa’ raccontava che a Kischenev praticamente erano tutti ebrei. Erano ebrei i poveri ed erano ebrei i ricchi, gli operai ed i commercianti e naturalmente anche i ladri! Per me, abituato a vivere a Trieste, questo era fonte di grande meraviglia. Ricordo che raccontava che una volta, di sera tardi, degli uomini erano venuti a parlare con suo padre e c’era stata una vivace discussione. Erano dei gangster, naturalmente ebrei, che erano venuti a minacciare mio nonno per qualche “pizzo” non pagato e connesso con le lotterie di cui si occupava.
Non ricordo che abbia mai raccontato cose particolari connesse con i pogrom. Pero’ in conseguenza di questo, dopo la morte del padre, all’eta’ di 12 anni, se non mi sbaglio e cioe’ nel 1904 o nel 1905, ha lasciato Kischenev con l’intenzione di raggiungere suo fratello Bernad a Trieste come prima tappa e poi proseguire per l’America dove aveva gia’ altri fratelli.
Ha lasciato Kiscenev da solo, con dei “contabbandieri” che gli hanno fatto attraversare la frontiera e, secondo Ronci, ha attraversato la Polonia prima di arrivare a Trieste. Io questo non lo ricordo, ma Ronci sostiene che la storia del pesce ripieno a casa di Klippel si sia svolta in Polonia.
Dunque papa’era a cena a casa di Klippel, un suo amico di Kiscenev, che io ricordo bene perche’ poi viveva a Trieste ed a Milano.
Klippel, che era parecchio piu’ vecchio di papa’, era gia’ sposato e a cena c’era pesce ripieno. A papa’ piaceva molto come lo faceva la mamma mia, alla russa e cioe’ non con la carpa, ma con pesce piu’ nobile e non dolce, con lo zucchero, alla polacca. Questo pesce dolce proprio non gli andava giu’. Papa’ imbarazzato e non sapendo come fare per non dover buttar giu’ questo pesce che non gli piaceva, pare se lo sia messo in tasca. La storia dice che anni dopo il sig. Klippel abbia detto a papa’ che loro se ne erano accorti che aveva messo in tasca il pesce!
Io non sono sicuro dove sia successa questa storia. Forse ha ragione Ronci e che la moglie di Klippel era polacca e loro vivevano li’ da qualche parte. Poi il Klippel in Italia ha messo su un commercio di te di molto successo ed ha fatto un sacco di soldi. Suo figlio “Rubino” viveva a Milano. Mi ricordo che una volta il sig. Klippel, che era molto alto ed aveva un dito della mano destra anchilosato, mi ha detto, sapendo che vivevo a Milano, di venirlo a trovare. Alla mia richiesta di dove abitasse mi ha detto di chiederlo ad un vigile, tutti sapevano dove trovarlo! Avra’ mangiato troppo pesce ripieno?

A Trieste papa’ ando’ a vivere con suo fratello Bernardo, detto Berl, che era gia’ sposato. Aveva sposato una delle figlie di uno ‘schohet’ polacco che viveva a Trieste e si chiamava Weitzman.
Lo schohet aveva tante figlie e credo tutte femmine e che noi chiamavamo tutte “zie”. La mia zia vera era zia Sabina, moglie di Bernardo e mamma di:
-Willi, medico, molto amato dai suoi pazienti, noto a Trieste per aver lavorato per anni all’ospedale, marito di Rita sorella di Max Pfeffer che aveva sposato Carlotta, mamma di Pucci (che vive a Chicago) e di Robi Ferri, marito di Bilha.
Willi, con sua moglie Rita e con la figlia Suzi sono poi venuti in Israele e vivevano a Nescher (Haifa) dove poi sono morti.
-Carlotta, moglie di Max. Max, che non ha mai lavorato in vita sua, andava in giro con una cartella porta atti in cui non si sa cosa c’era. Era laureato in Economia e Commercio e giocava molto bene a scacchi; era sempre in lotta con il mio papa’. Ma il mio papa’ era un po’ piu’ bravo. Sua moglie Carlotta ha sempre lavorato come un bestia per mantenere lui e la famiglia. Ha lavorato molti anni nella profumeria del padre (mio zio Berl) a Trieste e poi, dopo l’aliah ha lavorato in un negozio di antiquariato a Tel Aviv. Donna intelligente, brutta, simpatica, parlava un sacco di lingue. (Tutti I suoi fratelli erano laureati, anche suo marito nullafaciente, ma lei no; lei era una donna e quindi mio zio non l’ha mandata all’universita’. Comunque bravo il mio zio e la figlia dello schohet! Hanno laureato quattro figli maschi, venendo dallo ‘schtetl’ e stiamo parlando degli anni tra il 1930 ed il 1940.)
-Giacomo, avvocato, che ha sposato una non ebrea e si e’ bettezzato! Ha rotto i ponti con tutta la famiglia, fatelli e genitori. Ha fatto strada a Trieste, ha avuto successo; non ricordo esattamente, ma immagino che non c’era neanche al funerale di suo padre. Ha avuto una figlia che poi ha finito per insegnare alla scuola ebraica di Milano, a suo tempo e’ stata alcune volte anche a casa nostra. Ora e’ moglie di un ebreo religioso e vive a Milano
-Raffaello, detto Fuli. Laureato in lettere, professore di greco a Trieste poi al Parini di Milano. Matto completo!
All’inizio delle leggi razziali, gia’ laureato in lettere, piu’ o meno quando anche Tibor, il fratello di Rita, e’ andato in America. Ha lavorato e credo fatto anche un master in qualche cosa e poi si e’ arruolato come volontario nell’esercito americano. Come Tibor.
Uno degli ultimi giorni di guerra, in zona di operazioni, ha preso a pugni un ufficiale che aveva detto qualche cosa sugli ebrei. Lo zio Bernardo ha faticato molto per tirarlo fuori. Pare volessero fucilarlo per insubordinazione in tempo di Guerra, in zona di operazioni!
Insegnava al liceo a Trieste ed un giorno ha preso a schiaffi un ragazzo! C’e’ stato uno scandalo terribile, su tutti i giornali e lui si e’ trasferito a Milano.
Dopo un po’ di anni gli ho detto che mi sposavo e vedendo Rita, che non vedeva da anni ha esclamato: “Come che xe cresuda sto toco de merda”. Rita non l’ha mai molto amato.
-Meku, non ricordo quale fosse stato il suo vero nome. Pediatra, delizioso, viveva a Genova con sua moglio Lisl e senza figli. Durante la guerra si era rifugiato a Londra assieme alla moglie e poi si era stabilito a Genova.
Quando ha visto Manuel, che aveva pochi giorni e che piangeva ha subito detto che aveva fame e che dovevamo aumentare le dosi del latte artificiale e che, nonostate le nostre cure, sarebbe cresciuto benissimo.
Quando anni dopo, ignoranti e imbecilli, abbiamo seguito i consigli della nostra pediatra di allora, dottoressa Klein e dopo la pertosse abbiamo messo Manuel per non so, credo un mese, in un kinderheim vicino a Genova, lui era l’unico che andava a trovarlo e che ci dava sue notizie, perche’ era proibito a noi farsi vedere. Coccolo Meku, molto.

Le altre mie ‘zie’ erano la zia Rosa, labbro leporino, con il marito Nussbaum che commerciava in uova, la zia Malke, moglie di Motche Fischbein, che ha fatto molti soldi con negozi di impermeabili a Trieste ed a Milano, amico di mio papa’ e grande raccontatore di barzellette in yddisch. Anche puttaniere a quanto sembra. La zia Malke era molto religiosa, dava molti soldi ai rabbini e dava la mano che sembrava una polpetta di gelatina. Altra zia era la zia Sofie che da giovane aveva fatto una figlia di contrabbando con un avvocato goy di nome Neri, di Pizzo Calabro. Si erano poi sposati, pero’.
Ultima la zia Jetty Silbermann, madre di un farmacista che viveva Tel Aviv, di Frieda e di Fuli, medico, che negli ultimi anni era medico di papa’.
Il papa’ di tutte queste piccole, grasse e brutte polacche, il schoihet Weitzman, negli ultimi anni era sifilitico e toccava il sedere alle infermiere.

Perche’ papa’ si sia fermato a Trieste e non abbia proseguito per l’America non lo so.
Forse un problema di documenti, forse di soldi, forse semplicemente di rimando di giorno in giorno, non so. Credo che nel frattempo la nonna sia venuta da Kischenev a Trieste dove ha vissuto qualche tempo. E’ sepolta a Trieste.
Papa’ non andava molto d’accordo con suo fratello Berl. Lo zio Berl e’ sempre stato un imbroglione, papa’ era maniacalmente onesto!
Lo zio Berl e anche papa’ si guadagnavano da vivere viaggiando e facendo vari tipi di affari. Nella seconda parte della I Guerra Mondiale, negli anni 1916, 1917 papa’ viaggiava nelle isole della Dalmazia e si faceva dare fotografie di caduti in guerra che mandava a Vienna a una ditta che faceva ingrandimenti, che poi venivani mandati ai clienti. Ma viaggiavano anche in Italia, forse prima del 1914. Papa’ raccontava che lo zio Berl, che soffriva di non so quale malattia, aveva consultato un noto medico a Bologna, che in poco tempo lo aveva curato. Di ritorno a Trieste ha raccontato il tutto a papa’ che gli ha detto: “Chissa’ quanto ti e’ costato !” Testuale risposta: “Chabich’im umgekakt!” L’ho cagato! Cioe’ me ne sono andato senza pagarlo. Questo era mio zio Berl, con il quale poi papa’ e’ stato “broigess” per molti anni, durante i quali non si sono parlati.
In quegli anni papa’ vive a Trieste la vita dello scapolo; viaggia, traffica con vari prodotti, ha periodi migliori e periodi peggiori. Questi giovanotti ebrei vivono praticamente al caffe’ dove giocano a scacchi, domino, biliardo. Quando sono in soldi mangiano bene e offrono agli amici, altrimenti vivono di caffelatte e poco altro.
So che era uso, quando un giro di affari era andato particolarmente bene, ritornare in treno fino a qualche paesino non lontano da Trieste e poi farsi portare in carrozza fino al Caffe’ Adriatico, che era la loro “sede”.
Viene la guerra e papa’ si trova a Saluzzo in Piemonte in giro di affari. Essendo cittadino russo e quindi nemico, viene arrestato e passa in prigione qualche giorno prima di essere liberato. In quella occasione gioca a scacchi con il direttore della prigione, per passare il tempo.
Poi torna a Trieste e viene di nuovo internato in Austria, di nuovo come cittadino nemico. E’ per un periodo da qualche parte in Austria, assieme ad altre persone in una camerata. Si dice che c’era un compagno che continuava a parlare di se stesso continuando a dire: “ Ma mi, ma mi,,..” Pare che dal fondo della camerata una voce si sia levata dicendo: “ Ma mi, ma mi,…xe un gran MONA, Ma mi!”

La storia piu’ importante con lo zio Berl e’ successa parecchi anni dopo.
Alla fine della guerra, nel 1918 Trieste diventa italiana e l’Austria-Ungheria si sfalda.
Papa’ stufo di viaggiare decide di mettere la testa a posto , aveva ormai 26 anni,e prende il negozio. Era pieno di candele, fili e che ne so. Certo non profumi. I profumi verranno dopo. Si chiama ancora Katz nonostante che qualche anno prima al fermo posta a Bologna avendo lui allo sportello detto “Katz” si era gia’ sentito rispondere: “ In culo vostro! “.
Pian pianino papa’ sviluppa il negozio, lo trasforma in profumeria vendendo bustine di cipria che compera a chilogrammi e fa confezionare in negozio in bustine che vende con la marca “GABY”. Fa anche Acqua di Colonia che produce lui stesso con essenze che compera a Grasse in Francia e che vende sfusa, tra l’altro in quelle bottiglie rettangolari di cui abbiamo ancore qualche esemplare.
Fa campagne pubblicitarie sui giornali triestini e si rivolge soprattutto a clientela giovane e naturalmente femminile. Piccole impiegate e operaie che lavorano al punto franco di Trieste dove si producono sigarette le cosiddette “tabacchine”.
A Trieste le Assicurazioni Generali, ditta ebraica in grande espansione, decide di costruire nel centro alcuni grandi palazzi ad uso commerciale, per negozi importanti e per abitazioni di prestigio.
Si possono prenotare negozi , Fischbein prenota un grande negozio sul Corso per smetterla con il carretto nella piazza di Ponte Rosso e vendere impermeabili. Contemporaneamente credo smetta anche di portare il caffetano.
Papa’ prenota un negozio sotto i Portici d Chiozza, destinati a essere un importante punto di passaggio.
Passano i mesi, le costruzioni vanno su e si aspetta che gli uffici competenti delle Assicurazioni chiamino chi ha prenotato per firmare i contratti.
Finalmente papa’ si stufa e va a vedere come mai non l’hanno ancora chiamato.
Scopre che le Assicurazioni hanno gia’ firmato un contratto per una profumeria con un certo Katz! Ma e’ il fratellino, che essendo al corrente dei programmi di papa’, lo ha fregato! E notare che lo zio Berl, come Fischbein, lavorava negli impermeabili e non nei profumi!
E’ di allora che i vari giornali umoristici a Trieste si chiedono “Ma e’ tutto un Katz o non e’ tutto un Katz?”
Papa’ aveva avuto anche periodi difficili, in cui il negozio non andava tanto bene. Raccontava che in un periodo particolarmente difficile aveva fatto i conti e visto che, se voleva essere in grado di far fronte a tutti gli impegni e pagamenti, gli rimaneva pochissimo per mangiare. Allora aveva capito che con quanto aveva a disposizione poteva permettersi solo di mangiare una volta al giorno un pezzo di pane ed un quantitativo, non ricordo quanto di mortadella. Ogni giorno la sua commessa, non so chi fosse, andava a comperargli pane e mortadella e cosi’ riusci’ a superare la crisi.

Ad un certo punto decise che era il momento di sposarsi. Aveva sentito dire che a Fiume c’era una famiglia con molte figlie da sposare e cosi’ ando’ a Fiume a cercarsi una moglie. Non conosco dettagli, ma immagino ci sara’ stato di mezzo uno schatchen.
Ad ogni modo torno’ con la piu’ bella e dolce delle figlie Kloor.
Pare che mia nonna, Carlotta Demeter, abbia avuto piu’ di 12 figli, ma nessuno lo sa con certezza perche’ questa donnetta, alta meno di un metro e mezzo, non ha mai confessato quanti figli abbia partorito. La nonna l’ho conosciuta, viveva a Fiume e noi da bambini d’estate andavamo a trovare lei e gli altri parenti e poi dopo la guerra viveva con noi a Trieste in viale Sonnino, dov’ e’ morta.
Ricordo che una mattina la mamma mi ha svegliato e mi ha detto che la nonna era morta e che assieme a papa’ dovevo uscire di casa perche’, essendo Kohen non potevamo stare nella stessa casa con un morto.
Mio nonno Wolfango viveva a Fiume con la sua famiglia costituita dalla moglie e da 12 figli di cui solo 2 maschi. Un maschio mori’ giovane ed il secondo, dopo aver preso i soldi dal cassetto del negozio, e’ scappato in America, dove e’ morto in miseria, non moltissimi anni fa, in una casa di riposo (senza lasciarci purtroppo alcuna eredita’).
Di famiglia ungherese, ma si dice di origine inglese (saremmo parenti della famiglia miliardaria inglese Kloor) la mia mamma era nata il 20 ottobre 1902, in un paesino vicino a Budapest detto Loetche (?), ma diceva di essere di Budapest. Non so quando e perche’ si fossero trasferiti a Fiume dove avevano un negozio di tessuti o vestiti.
Delle sorelle della mamma ho conosciuto la zia Anna, sposata in seconde nozze con Giulio Schmukler (poi Ornati), madre di Manci (che viveva a Genova) e di Oscar Ornati, purtroppo morto e gia’ professore alla New York University. Oscar ha lasciato I figli Lee, Moly e Susan. Giulio Ornati aveva un negozio di camicie a Trieste in via Milano e nel ’39, assieme alla zia Anna e ad Oscar diciottenne, sono andati in America. Manci era gia’ sposata a Genova con Nino Rasoli, non ebreo, impiegato di banca, quasi sordo, per essere stato ufficiale di artiglieria. Oscar era un tesoro di persona, intelligente, spiritoso e simpatico. Anche Oscar, come Tibor, era volontario nell’esercito americano e ricordo quando dopo la guerra e’ arrivato a Trieste ed e’ venuto a trovarci guidando un jeep, che ha parcheggiato sotto casa e alla quale ha tolto un pezzetto del motore per evitare che gliela rubassero. Poi, qualche anno dopo e’ venuto per un anno sabbatico all’universita’ di Trieste con la moglie Winny e due o tre figli piccoli a cui Rita, mia fidanzata, qualche volta faceva da baby sitter. Con Oscar poi ci siamo visti alcune volte a New York e piu’ ancora si e’ incontrato con Ronci e Livio. Il figlio di Oscar, Lee, ha un bar a New York dove siamo stati con Bambu, Cobi e le bambine e anche Ronci c’e’ stata.
Altra zia, scendendo in ordine di eta’ era la zia Serena, moglie di Marco Hoenigsfeld e mamma di Magda e Buzzi.
Vivevano a Fiume e lo zio Marco aveva un negozio di chincaglieria in via Delle Pile. A me piaceva moltissimo sia il negozio che lo zio Marco. Era un ometto piccolo, che fumava la pipa e che io chiamavo “OMO”, (cosa pensate, in triestino vuol dire ‘uomo’). D’estate passavamo un periodo a Fiume a casa della zia Seren e della nonna, che vivevano assieme in un appartamente credo in via Tartini, di fronte al teatro. Io passavo molte ore con lo zio Marco in negozio. Nel ’39 Buzzi e’ andato in Palestina.

Nel corso della guerra, non so in che anno, lo stato italiano ha pensato che gli ebrei che vivevano a Fiume costituivano un serio pericolo per la Nazione ed ha deciso di internare gli uomini in Italia meridionale a Ferrandina. La zia Seren, con sua figlia Magda sono rimasti a Fiume, mentre lo zio Marco, da solo, si e’ trovato internato in Italia meridionale. E’ la stessa sorte che e’ toccata ad antifascisti ben piu’ illustri, come Carlo Levi, che ha poi scritto il suo famoso libro “Cristo si e’ fermato a Eboli”.
A seguito dell’avanzata deli Alleati in Italia meridionale, lo zio Marco si e’ trovato al di la’ del fronte, in territorio liberato e quindi ha potuto disporre di se’. Avendo un figlio in Palestina ed essendo completamente tagliato fuori da Fiume e non avendo possibilita’ di contatto con moglie e figlia, ha saggiamente deciso di raggiungere il figlio.
Cosi’ si e’ trovato credo a passare il periodo piu’ bello della sua vita, anche se naturalmente con l’ansia di non sapere niente di quello che era potuto succedere a moglie e figlia.
Buzzi si trovava in un Kibbuz, non ricordo quale e lo zio Marco ha imparato a fare il calzolaio e lui riparava le scarpe di tutto il kibbuz.
In kibbuz era molto amato. Dopo la guerra, la zia Serena e Magda, che erano con noi in Svizzera sono rientrate a Fiume, dove non hanno trovato niente e quindi sono venute a Trieste. Per un po’ vivevano a casa nostra, poi la zia Seren ha insistito con lo zio Marco che tornasse a Trieste, mentre lui voleve che le due donne lo raggiungessero in Israele. Insomma Marco e’ tornato, non avevano di che vivere, Magda lavorava in Comunita’ come impiegata e poi ha sposato Aldo Osterman che ne era il segretario e gli zii tristemente vivevano a Trieste dove tenevano il bar del Circolo Giovanile Ebraico, poi Adei Wizo.
Quando anni dopo Magda e Aldo si sono trasferiti in Israele, a Natania, anche loro li hanno raggiunti. Lo zio Marco era vecchio e ammalato e stanco di vivere. Qualche volta, venendo in Israele in visita andavo a trovarlo. L’ultima volta mi ha detto: “ Tu che sei nelle medicine e che te ne intendi, portami qualche polverina che possa finirla e andarmene”. Non l’ho fatto e neanche forse avrei saputo cosa dargli. Ma ho sbagliato!
C’erano altre due zie che vivevano a Budapest e che sono andato a trovare una volta. La zia Julisch e la zia Margit.
Poi la mia mamma che era la terz’ultima e poi la zia Tekla e la zia Olga.
La zia Tekla, che mi piaceva molto, da giovane per un periodo aveva lavorato in negozio da papa’, ma poi e’ successo non so cosa e papa’ l’ha licenziata.
Tekla ha sposato Joska avvocato, uomo molto colto e molto comunista. Ancora prima della guerra sono venuti con l’alia’ Bet in Palestina, dove e’ nato il loro figlio Dany. Subito dopo la guerra, essendoci il comunismo in Ungheria, mio zio Joska ha deciso di lasciare Israele e rientrare li’. Quando anni dopo sono stato a Budapest l’ho incontrato. Mi pare che fosse diventato presidente del Tribunale, prima di cadere in disgrazia. La zia Tekla aveva avuto un’altra figlia, che vive tutt’ora in Ungheria; poi aveva fatto l’operaia e poi era morta.
A Dany,che aveva studiato bio-igegneria, allora avevo offerto di venire a lavorare in Italia alla Lepetit. Infatti cercavo bio-ingegneri come un disperato. Lui pero’ ha rifiutato, dicendo che il Paese aveva pagato per i suoi studi e che ora lui doveva rimanere in Ungheria, per ripagare il Paese con il suo lavoro.

La piccola della famiglia era la zia Olga, mamma di Gaby che vive a Milano e di Annalisa che vive a Ferrara e moglie di Giovanni Pinter, che era mezzo ebreo e che si e’ fatto circoncidere da grande, durante le leggi razziali, per sposarla.
Olga e Giovanni e Gaby, senza Annalisa che e’ nata dopo la guerra, erano nascosti assieme a noi a Pieia, vicino a Caprino Bergamasco, alla fine del 1943, da dove assieme a loro siamo andati clandestinamente in Svizzera l’8 dicembre 1943.
Ma questa e’ un’altra storia.

La mamma mi chiamava “Ciocio”. Non so perche’.
Era bella la mia mamma! Era molto dolce ed era molto innamorata di me.
Era molto una ‘signora’, anche se non aveva praticamente una formazione culturale e scolastica. Parlava bene il tedesco, l’italiano e naturalmente l’ungherese.
Non era particolarmente innamorata di Opcina, che invece piaceva moltissimo al papa’.
Le piaceva essere elegante ed amava molto le pellicce. Papa’ pensava che una pelliccia era una cosa troppo costosa per noi e la mamma si e’ comperata una pelliccia di persiano solo dopo la morte di papa’.
Papa’ era sempre molto preoccupato di non spendere troppo, di avere delle scorte.
Quando si doveva fare una spesa veramente rilevante, che proprio si DOVEVA fare, papa’ ci pensava e ci soffriva per parecchi giorni. Quando risultava che era proprio impossibile evitarla, buttando giu’ l’amaro boccone diceva alla mamma: “Janci, ti ga scrito sul libro?”
Mamma rispondeva: “ Si Srul, go scrito.”
E cosi’ finiva la storia. Credo che la mamma non abbia mai scritto niente, ma papa’ anche lui non lo guardava mai il libro.
Il mio parto e’ stato molto difficile perche’ pesavo quasi sei chili. Allora nessuno lo sapeva, ma era un evidente segno del diabete che solo nel ’38, all’inizio delle leggi razziali, mamma avrebbe sviluppato.
Gli amici piu’ semplici di papa’, quelli che passavano in negozio a salutarlo ed a fare quattro chiacchiere con lui, dicevano che la mamma era molto superba ed avevano timore riverenziale di lei. Se mamma arrivava, loro se ne andavano.
Anche Gabriella raccontava sempre che, quando ragazzina di credo quattordici anni, papa’ l’aveva assunta in negozio e tra i due era subito nata quella simpatia che hanno sempre sentito l’uno per l’altro, quando dopo poco e’ arrivata mamma in negozio, si era sentita gelare. Ma poi per tutta la vita si sono invece amate.
Uno dei ricordi piu’ dolci della mia infanzia e’ svegliarsi al mattino a Opcina, vedere il Sole che entra dalla finestra e sentire il rumore di mamma che rastrella il giardino.
Lo sento ancora e mi da calore, serenita’, amore.
In realta’ papa’ era riuscito a costruirsi una certa cultura geografico-economica che, assieme alla sua notevole intelligenza e buon senso, gli permetteva di capire i fenomeni politici generali ed a intuire il succedersi degli avvenimenti.
Era stato uno dei pochissimi a capire che la Germania non poteva vincere la guerra.
Quando i tedeschi sono entrati in Russia, papa’ diceva che non appena sarebbe arrivato l’inverno non sarebbero stati in grado di mantenere le lunghe vie di rifornimento necessarie all’esercito invasore. Quando l’America e’ entrata in guerra, diceva che la Germania non poteva competere con le disponibilita’ di petrolio e di mezzi degli Alleati. Sapeva che la Germania avrebbe perso, quando tutti in Italia erano conviti della vittoria dell’Asse. Ricordo benissimo le discussioni con parenti e amici.
Papa’ leggeva sempre i giornali svizzeri ed in particolare il Basler Nachrichten e la Zuricher Zeitung. Sapendo bene il tedesco non era un problema e questo lo rendeva certamente piu’ al corrente di quello che succedeva nel mondo rispetto a chi leggeva solo Il Piccolo e roba simile.
Con lui andavo nelle banche a fare i pagamenti delle merci, ma questo succedeva piu’ tardi, doveva essere ormai dopo la guerra. Ricordo in particolare la Banca Triestina, in fondo a via Mazzini, vicino al mare, dove si viveva ancora come ai tempi di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria.
Gli impiegati portavano le mezze maniche di satin nero. Dietro al bancone avevano dei leggii molto alti, su cui c’erano dei grandi libroni in cui in bella calligrafia registravano ogni transazione. Non usavano penne d’oca, ma quasi.
Papa’ raccontava che un giorno, al mattino venendo ad aprire il negozio, aveva trovato per terra, adiacente alla saracinesca, un ferro di cavallo. Diceva che qualcuno, per buon augurio, glielo aveva messo li’, ma non sapeva chi. Sara’ vero?
Ad ogni modo l’ha sempre tenuto in negozio e, ogni 31 dicembre, all’atto di chiudere il negozio,era tradizione che tutti i presenti contemporaneamente prendessero in mano il ferro di cavallo, per augurarsi un felice anno. Anch’io ho partecipato molte volte alla cerimonia.
Molti anni dopo, non volendo, un giorno, lasciare solo un ferro di cavallo del nonno ai nostri due figli, Rita ed io abbiamo chiesto a Gabriella di trovarne ancora uno. Lei l’ha trovato ed ora ce ne sono due. Nemmeno io so quale e’ quello vecchio e quale quello nuovo. Sono tutti e due il vero ferro di cavallo del nonno!
Gabriella ed Olga erano due rari tesori.
Erano parte integrante della famiglia.
Olga, forse meno brillante di Gabriella, altrettanto dedita al lavoro ed ambedue di una onesta’ cristallina.
Papa’, parlo di dopo la guerra, dava piu’ attenzione alle raccomandazioni di Gabriella, che a quelle di Olga.
Olga era figlia di una portinaia ed era nata in via Ugo Foscolo a Trieste, in quell’abbaino, dov’e’ morta a piu’ di novant’anni. Per tutta la vita ha abitato nello stesso posto, al quinto piano, senza ascensore, con il gabinetto sul pianerottolo!
E certamente in vecchiaia avrebbe potuto permettersi qualche cosa di meglio!
Da giovane Olga aveva avuto parecchi spasimanti, ma il suo amore e’ sempre stato Berti Rachamim, un ebreo che faceva il tecnico dentista.
Ad un certo punto Berti, prima della guerra, si e’ sposato ed e’ andato in Inghilterra, per sfuggire alle persecuzioni.
Dopo la guerra e’ ritornato a Trieste e, visto che parlava l’inglese, era in traffici con gli Alleati che allora occupavano Trieste. Ricordo che mi ha procurato una bellissima penna Parker, acquistata alla “PX”, che era lo spaccio esclusivo dell’esercito ed a cui i civili non avevano accesso. Berti, che dopo la guerra aveva ripreso l’amicizia con Olga, aveva molta simpatia per me. Nel frattempo si era diviso dalla moglie, da cui aveva anche avuto dei figli. Hanno continuato la loro amicizia, non ho mai capito bene quanto platonica e quanto no, tra alti e bassi. Olga non era molto persuasa da alcuni aspetti della personalita’ di Berti, ma ne era indubbiamente innamorata.
Gabriella era figlia anche lei di una portinaia, quella di via Gatteri che io ricordo benissimo. La mamma, che mi pare avesse una gamba di legno, si era risposata con uno che deve aver violentato Gabriella da bambina o da ragazzina. Gabriella non ne parlava, ma e’ un fatto che non ha mai avuto spasimanti uomini. Per gran parte della vita ha vissuto con la Rina, una signora che aveva avuto un negozio di biancheria da donna. Sono vissute insieme fino all’ultimo. La Rina, che nel frattempo era diventata sorda, credo non abbia neanche capito che Gabriella era morta, ma comunque e’ morta poche settimane piu’ tardi.
Gabriella ed Olga per molti anni hanno abitato assieme. Dormivano in un letto matrimoniale, (erano amiche ?) a casa della mamma di Gabriella. Poi hanno litigato e per anni non si sono piu’ parlate, se non per ragioni di lavoro.
Quando venivano i vari rappresentanti in negozio e si doveva fare gli ordini della merce, normalmente papa’ faceva ufficialmente l’ordine, ma le quantita’ erano concordate. Qualche volta le due ‘Putele’ non concordavano. Allora si potevano sentire discorsi di questo tipo: Olga: “ Signor , la ghe disi alla ‘direttrice’ che la xe mata a ordinar due dozine de quel profumo. Si e no che xe vendi due al mese!”
Risposta di Gabriella: “ Ma cossa la va drio de ela, mi go vendudo almeno tre toki solo questa setimana!” E via di questo passo. Ma in realta’ sono state come sorelle per tutta la vita. Non sono mai state ammalate. Gabriella diceva, e le credo, che non ha mai mancato un giorno di lavoro. Olga se e’ stata in quaranta o cinquanta anni assente per tre giorni, e’ molto.
Dopo che abbiamo chiuso il negozio si vedevano tutti i giorni e quando una era ammalata o all’ospedale, l’altra si occupava di tutto. Erano una l’erede dell’altra.
Mamma e papa’ avevano due anelli, ognuno con un brillante, molto simili. Quando e’ morto il papa’ la mamma ha preso i due brillanti e li ha fatti montare in un anello, con due solitari. Alla sua morte, abbiamo dato i due brillanti alle ‘putele’, con il patto che un giorno, dopo di loro, le pietre sarebbero tornate a noi. Loro infatti non avevano eredi. In realta’, quando e’ morta Olga, Gabriella ha detto che aveva perso il suo anello e si e’ preso quello di Olga. Quando e’ morta Gabriella, non c’era piu’ nessuno che sapesse niente e noi non siamo certo andati a Trieste a cercare l’anello.
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